Oggi è una giornata di bilanci.
Mi sono presa del tempo per metabolizzare l’anno appena concluso. Un 2020 che rimarrà nella storia, se mai la nostra specie durerà così tanto da poterlo far rientrare nel passato remoto piuttosto che in un semplice passato prossimo.
È stato un anno caratterizzato dal Covid, un anno drammatico, che ha messo a dura prova praticamente tutta l’umanità. Tra lockdown e lontananza fisica dalle persone, ci siamo ritrovati catapultati in un mondo pieno di incertezze e limiti. Il divieto di uscire, l’impossibilità di vivere le nostre famiglie, i nostri amici, le mascherine, i limiti d’orario e poi ancora divieti, paure, coprifuoco, file davanti al supermercato, insomma è stato un anno assurdo e complicato. Abbiamo visto la nostra vita svolgersi all’interno di una gabbia, tra vincoli e pareti, abbiamo sognato il mare per mesi, il profumo degli alberi, le ali di un aereo, le cose più semplici erano quelle che ci mancavano di più.
Per me è stato un anno di crescita, di battaglie interiori, di lotta contro i pensieri. Il tempo per porsi domande, cercare risposte e fare bilanci sulla mia vita non è mancato. Per una persona che si tiene per mano con l’ansia e con gli attacchi di panico da una vita, questo è stato un anno con troppo tempo a disposizione, troppo tempo per chiedersi dove stessi andando, con chi e perché. Mai come oggi, che mi ritrovo a guardare in faccia i miei primi 35 anni di vita, mi sono sentita cosi piena di domande senza risposta, di obiettivi che non so se saranno raggiunti e di desideri che non so se sono miei o figli della società che mi circonda.
Ho paura, ho paura della fine della vita, della malattia, della sofferenza, ho paura per gli altri e ho paura per me. Ho paure che penso non passeranno mai. Guardo i miei genitori invecchiare, vedo le rughe in più sui volti dei mie zii, quelle schiene un po' più curve e quei sorrisi un po' più stanchi e ho paura di rimanere senza di loro, ho paura di come sarà la mia vita senza i miei ormeggi, ho paura di quella che sarà la vita degli altri se mai dovesse venire a mancare una delle loro ancore. Ho paura della sofferenza degli altri e ho paura di non saper gestire la fine della vita. Ho paura di non volere per me quello che gli altri si aspettano, ho paura di desiderare “cose” che non mi appartengono, ho paura di sognare troppo in piccolo e di arrendermi alla vita troppo frettolosamente. Ho paura di non cambiare e allo stesso tempo di cambiare troppo. Ho paura di non essere abbastanza e ho paura di essere troppo. Ho paura di svegliarmi un giorno e scoprire che ho passato troppo tempo ad aver paura. Ma le paure fanno parte della vita e questa vita, e soprattutto questo anno appena trascorso, mi sta insegnando cosa significa battagliare, entrare in guerra, cadere e rialzarsi, insomma cosa significa vivere. Ho visto un mondo di certezze sgretolarsi intorno a me senza che io potessi fare niente, o comunque ben poco. Ho guardato in faccia le sofferenze d’amore degli altri, ho guardato in faccia la perdita di persone care, ho visto la sofferenza, quella celata dietro un sorriso, dietro una birra in più e una lacrima trattenuta. Ho visto cadere le persone e rialzarsi con coraggio, ho visto cadere persone e arrancare nella risalita. Ho visto persone credere in un sogno e abbandonarlo prima che vedesse la luce, ho visto gli occhi smarriti di chi in quel sogno ci stava credendo e lo ha visto infrangersi sentendosi impotente. Ma ho visto in quegli occhi smarriti e spaventati una fiamma, ho visto la voglia di crederci e riprovarci nonostante la paura e sono stata felice e orgogliosa, orgogliosa dei miei amici, orgogliosa della mia vita, perché i miei amici sono la mia vita. Ho scoperto cosa significa non mollare mai, provarci sempre, senza paura di gridare a voce alta le proprie sofferenze, senza timore di confidarle, con l’onestà e la forza di chiedere una mano quando da soli ci si sentiva persi. E ho visto le conferme, ho visto quelle mani tese, tutte pronte, nel loro modo, a sollevare ogni amico che inciampava vicino al burrone, tirarlo su, confortarlo o semplicemente fargli sapere che non era solo. L’amore, l’amore continua ad essere la base della mia vita e di quella delle persone che mi circondano. L’amore per gli amici, per la famiglia, per ogni persona che fa parte della mia esistenza. Ho “seppellito” persone che consideravo fratelli, scoprendo mio malgrado che non sempre l’amicizia ha lo stesso valore per tutti, ho accettato “finalmente” che ognuno sceglie il suo destino e il bene a volte è solo la finta maschera dell’opportunismo. Capire, accettare, metabolizzare e buttare dietro le spalle tutto questo, è stata una delle vittorie di questo 2020 assurdo e imprevedibile. Continuo a piangere di gioia per ogni volta che vedo una delle mie persone finalmente felici, continuo a piangere di gioia ogni volta che si raggiunge un traguardo, piango ancora di gioia quando arriva una dimostrazione di affetto, in quel modo folle e assurdo, senza preavviso, e che serve solo per ricordarci ogni tanto, dopo tanti anni, di quanto siamo indispensabili l’uno per l’altro. Continuo a piangere di gioia davanti alle dimostrazioni d’amore del mio compagno, che non è semplicemente un uomo che amo e che mi ama, ma è il mio compagno di vita, il mio migliore amico, il mio migliore amante, la mia persona.
Io penso di non riuscire mai a dimostrare alle mie persone quanto io voglia loro bene, penso di non dimostrarlo abbastanza ai miei genitori, penso di non dimostrarlo abbastanza alla mia famiglia, penso di non dimostrarlo abbastanza ai miei amici, penso di non dimostrarlo abbastanza al mio compagno, penso di non dimostrarlo mai abbastanza ai miei “piccoli”. E questa è la mia dedica a loro, a te, perché i miei primi 35 anni di vita, senza le mie persone, senza te, non sarebbero stati cosi fantastici, non sarebbero stati così completi, emozionati e felici.
Commenti
Posta un commento