Storie che non andrebbero raccontate così.


“Africa qui. Storie che non ci raccontano” di Stefania Ragusa

Tempo di lettura: 2 minuti


Alvaro Santo Francisco Antonio il poeta angolano, Coffi Gervais Tossou del Benin, Cecile Kashetu Kyenge la dottoressa congolese, Michael Kidane l’attivista eritreo, Thomas McCarty l’importatore ghanese di ananas, Mamadi Kaba l’artista della Guinea, Stephen Ogongo il giornalista del Kenya, Esoa Aghatise la nigeriana che combatte la tratta, Augustin Mujyarugamba l’imprenditore rwandese, il dj senegalese Mc Talibe, Peter Bayuku Konteh il filantropo della Sierra Leone, Abdulcadir Omar Hussein il medico somalo, Judith Raymond Mushi sociologa e biodanzatrice della Tanzania. Queste le tredici storie che compongono Africa Qui. Testo trovato per caso in una delle stanze ricolme di libri della casa dei miei genitori, sicuramente acquistato, letto e lasciato lì da mio fratello, nei suoi momenti liberi tra un viaggio e l’altro per il mondo. Mi è bastato leggere “Africa” per allungare la mano e prenderlo. Sul retro del libro leggo le prime righe:

Per molti anni non c’erano e quando ne compariva uno tutti lo notavano: erano vestiti in modo strano, avevano delle cose a tracolla su cui erano esposti orologi, catenine, accendini e altre amenità. Avevano la carnagione olivastra del Nord Africa e così tutti incominciarono a chiamarli “marocchini”. Poi arrivarono quello più neri, dall’Africa vera. Abbordavano l’italiano nei parcheggi dei supermercati, “vù cumprà” era il modo per chiamarli. E qui mi sono fermata, era già sufficiente per pregustare quella che immaginavo una deliziosa ed interessante lettura.
Stefania Ragusa, giornalista che collabora con varie testate tra cui Glamour, Nigrizia e Popoli, con questa raccolta spiega di voler dimostrare, che non tutti gli immigrati di prima generazione, in Italia sono costretti a lavori umili. Brevi storie di vita di persone africane che si sono affermate o che sono riuscite a fare qualcosa di importante per il Paese da cui provengono o per l’Italia, al fine, come dice la scrittrice stessa, di contribuire a modificare lo sguardo convenzionale che troppo spesso gli europei posano sull’Africa.
Dopo aver letto la prima storia la sensazione è stata delusione. Ma non mi sono fermata e storia dopo storia non me la sento di recensire in maniera negativa questo libro anche se ne vedo dei limiti. A mio parere la giornalista, per la quale ho nutrito simpatia da subito perché ho scoperto che collabora con Nigrizia (rivista che ho conosciuto quando scrivevo la mia prima tesi di laurea), non è riuscita pienamente a concretizzare il suo intento. Se l’idea di partenza era buona, il testo delle interviste è abbastanza povero. Ritengo che porre qualche domanda in più agli intervistati avrebbe aiutato a suscitare empatia tra il lettore e i protagonisti delle storie. Per esempio mi sarebbe piaciuto avere maggiori notizie sulla vita di queste persone in Africa, così come avrei preferito avere maggior dettagli circa il viaggio che li ha condotti in Italia, avrei gradito anche un approfondimento sugli stati d’animo, le emozioni e i pensieri dei protagonisti prima della partenza e all’arrivo. Inoltre, a mio avviso, l’introduzione è troppo breve per aiutare ad entrare nell’argomento. Un semplice dialogo tra la giornalista ed una amica nel quale una ritiene un luogo comune l’espressione “povero negro” e l’altra, l’amica immigrata di seconda generazione figlia di un’eritrea e di un etiope, la ritiene pura verità, non mi sembra sufficiente per presentare la realtà di cui si va a parlare. Soprattutto se l’intento è quello scritto sopra. Insomma i contenuti e lo stile utilizzato, seppur quest’ultimo chiaro e lineare, non riescono a creare empatia tra il lettore e i protagonisti. Questo è quello che manca al libro o, forse, è quello che io mi sarei aspettata.
Una lettura che niente dà e niente toglie. Tredici storie, purtroppo non rese accattivanti, di uomini e donne, niente più niente meno. Peccato. Non indispensabile da leggere, ma, non essendo necessaria più di un’ora per la lettura, può comunque incastrarsi tra i libri che riempiono le vostre mensole.

Commenti