“Pista nera” di
Antonio Manzini
Tempo di lettura: 4 minuti
Il testo di cui vi parlo oggi è il primo di una serie di cinque
romanzi polizieschi. L’autore, a me sconosciuto fino a pochi giorni
fa, è Antonio Manzini, italiano, classe 1964, attore, sceneggiatore
e scrittore.
Attenzione!
Se pensate che stia per parlavi di un capolavoro o di un testo che
tratta tematiche profonde, vi consiglio di utilizzare i pochi minuti
che ci vorranno a leggere queste righe per fare qualsiasi altra cosa.
Non è un capolavoro e neanche una grande opera, è una lettura
semplice, scorrevole, a tratti curiosa, leggera e non impegnativa. Un
libro da leggere in due notti, prima di andare a dormire.
Breve
precisazione: io non ho profonda stima per i cosiddetti “lettori
snob”, quel genere di persone che limitano
il
loro interesse a opere di scrittori considerati d’élite e che
tendono a snobbare e criticare tutto ciò che non tratti temi
impegnativi o che sia popolare. Direi che c’è tempo per tutto e se
è vero che nella vita abbiamo bisogno di informarci, pensare,
riflettere, è anche vero, che abbiamo bisogno e voglia di sorridere,
staccare la spina, passare qualche ora in serenità. Ecco questo
romanzo ci fa passare qualche ora spensierata, senza “svegliarci
con un pugno sul cranio” come direbbe Kafka, ma d’altronde non è
questo l’intento dell’autore. È quel genere di lettura che a mio
parere riesce ad aggiungere qualche nome alla lista dei cosiddetti
lettori occasionali.
Passiamo
al libro, “Pista nera” può essere descritto con un nome: Rocco
Schiavone. Protagonista del romanzo, il vicequestore Schiavone, viene
trasferito dalla sua amata Roma ad Aosta, e li si trova ad aver a che
fare con un caso di omicidio. Il corpo di Leone Micciché, catanese
sposato con una donna bellissima originaria del posto, viene
rinvenuto vicino ad una pista sciistica. Da quel momento in
vicequestore si troverà ad aver a che fare con quella che definisce
una “rottura di coglioni di decimo grado”, indagando su tutta la
popolazione di Champoluc nel tentativo di trovare il colpevole.
Iniziamo
dalle critiche che accompagnano questo noir. La trama non è certo
originale e alcune scene hanno del surreale ma lascio a voi la
possibilità di scoprirle.
Le recensioni del pubblico su questo testo non sono concordi, a
contrasto con chi ne vanta la semplicità e la leggerezza, molti
hanno rivolto critiche alla figura del Vicequestore Schiavone perché
troppo disonesta, maschilista, violenta, arrogante e snob. A mio
avviso questa tesi non può essere utilizzata come valida critica,
d’altronde non esistono forse uomini disonesti, maschilisti,
violenti, arroganti e snob? Si, esistono. Se dovessimo aspettarci
ogni volta di leggere libri caratterizzati da personaggi simpatici,
eroici, onesti, integri, perfetti, beh sai che noia! Il personaggio a
tratti sta simpatico mentre a tratti fa venir voglia di
schiaffeggiarlo, ma è anche questo che aiuta il libro a farsi
leggere.
Tra le altre critiche leggo che il tutto sembra una brutta copia del
Commissario Montalbano, ma non avendo ancora avuto modo di leggere la
serie di Camilleri (mea culpa), sono costretta ad astenermi da
ogni parere non potendo essere in grado di giudicare. Posso però
dire che a osservare le copertine della serie di Camilleri e quelle
del Manzini, ho pensato che quest’ultimo avesse decisamente peccato
di originalità, sarà forse un caso che tutte le biografie
dell’autore presenti su Google facciano sempre riferimento al fatto
che è stato allievo di Camilleri? Giudicate voi.
Passiamo adesso alle note positive. Il primo merito dell’autore è
di riuscire a non annoiare e già dalle prime righe nutre il
desiderio del lettore di continuare a leggere. Le prime pagine sono
sempre fondamentali, se l’ attenzione non viene catturata da
subito, diventa difficile continuare la lettura. Manzini
incuriosisce, saltellando tra il delitto, la vita personale di
Schiavone e i personaggi che gravitano intorno alla figura di
quest’ultimo.
L’ambientazione è descritta in maniera chiara; l’autore
scaraventa il lettore nel freddo inverno della Valle d’Aosta
facendo respirare aria pura e ammirare paesaggi innevati, senza
annoiare con superflue e prolisse descrizioni.
Manzini pagina dopo pagina convince il suo lettore a sfogliare e
leggere quella successiva fino ad accompagnarlo all’ultima riga,
lasciando la voglia di andare a cercare un altro suo lavoro.
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