“Kobane Calling”
di Zerocalcare
Tempo di lettura: 3 minuti
Sono sufficienti le prime dieci pagine per capire che lo leggerai fino alla fine e senza interruzioni. Kobane Calling è un fumetto, anzi è un reportage, no è una storia, insomma qualunque cosa sia di sicuro è ben fatto, piacevole ed interessante.
Era già da qualche mese che questo testo prendeva polvere sulla cassettiera di camera; avuto in prestito da una persona a me cara che vantandolo e garantendomi che non me ne sarei pentita, mi incitava ogni tre per due a iniziarlo. Ero molto scettica, l’idea di leggerlo non mi allettava parecchio vista la mia naturale (e aggiungerei stupida) propensione ad associare il termine fumetto con “Diabolik” o “Dylan dog”, a me non troppo congeniali (solo “Topolino” ha saputo scalfire il mio cuore).
Una
qualunque domenica di ottobre, decido che è arrivato il momento di
leggere Kobane Calling, prima di aprirlo faccio una breve ricerca su
google, leggo velocemente qualche recensione, tutte positive, visito
la pagina Wikipedia dedicata a Zerocalcare, perché ammetto che non
sapevo praticamente niente di questo ragazzo, poi faccio una toccata
e fuga su www.zerocalcare.it. Mi
era capitato qua e là di leggere ogni tanto stralci di suoi fumetti,
ma niente che ricordassi e che mi fosse rimasto particolarmente impresso. In breve Zerocalcare è lo pseudonimo di Michele
Rech, romano d’adozione, classe 1983; attivo nel mondo della
fumettistica da circa dieci anni, noto prevalentemente per raccontare
storie ambientate nel quartiere romano di Rebibbia.
Kobane
Calling (ho passato due giorni a correggermi perché lo chiamavo
London Calling, capirete facilmente il perché), racconta due viaggi
effettuati da Zerocalcare al fine di vedere con i propri occhi la
Rojava, ossia la zona al nord della Siria dove si combatte la guerra
contro l’Isis. Il titolo fa pensare che sia ambientato
esclusivamente a Kobane, ma è un po' fuorviante dal momento che la
storia si svolge in un territorio molto più vasto, al confine tra
Siria, Turchia e Iraq.
La
resistenza curda, l’esperimento del confederalismo democratico e lo
statuto della Rojava che il popola chiama Carta dell’autogoverno,
l’emancipazione femminile e il ruolo della donna nella lotta, i
luoghi e le modalità di addestramento del PKK, i campi profughi,
l’ambiguità del ruolo dello stato turco nella guerra, sono questi
gli elementi centrali della storia. Piccole pillole di una parte di
verità alla maggior parte delle persone sconosciuta, un modo
interessante per informare e suscitare curiosità, su un tema
importante, scomodo, impegnativo.
Il
merito dell’autore è sicuramente quello di riuscire a trasportare
il lettore con facilità ed umorismo in una realtà che di comico ha
ben poco. Descrive, racconta, scherza, fornisce spunti di
riflessione, fa vedere attraverso i suoi occhi, fa sentire i suoi
timori, i suoi dubbi, le sue ansie, fa respirare i profumi di una
terra che sembra più lontana di quel che in realtà è. A mio avviso
il lavoro è reso speciale dalla semplicità e dalla sincerità che
ogni tavola, con le sue rappresentazioni e le sue parole, esprime.
Credo
che difficilmente troverete recensioni negative su questo diario di
viaggio.
Leggetelo!
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