Alla scoperta dei demoni di Zafón.

"Il gioco dell'angelo" di Carlos Ruiz Zafón
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Tutte le volte che finisco di leggere un libro penso a quali saranno le parole, i luoghi, le sensazioni che me lo faranno ricordare ogni volta. Quando ho terminato di leggere la pagina n. 466 de “Il gioco dell'angelo” ho pensato a Barcellona, al cimitero dei libri dimenticati, all'influenza della religione nella storia, alla crudeltà e la vigliaccheria degli esseri umani.
 È la seconda opera che leggo dello scrittore spagnolo Carlos Ruiz Zafón, la prima fu “L'ombra del vento” e anche in quella occasione, come adesso, ho pensato di voler ritornare a Barcellona per cercare quel luogo magico ed incantato che è il cimitero dei libri dimenticati.
È necessario precisare che ho letto le due opere a distanza di anni, per cui, a differenza di tutte quelle persone che tendono a paragonare i due libri, io non riesco in questo momento a santificare il primo e buttare giù dalla torre il secondo.


In passato ho commesso spesso l'errore di leggere in un determinato periodo solo libri di un certo autore: scoprivo un libro, me ne innamoravo ed iniziavo una ricerca sfrenata di tutti i libri dello stesso scrittore o dello stesso genere e ogni volta provavo una sorta di delusione, perché subentrava una sorta di déjà vu che non mi faceva apprezzare le letture successive. Ho quindi imparato che, per godere delle mie letture, non devo cadere nel tranello di leggere libri “simili” uno dietro l'altro.
Con Zafón ero già caduta in fallo, ricordo che lessi “L'ombra del vento” subito dopo essere stata a Barcellona, iniziata da una cara amica che, tra i tanti consigli di lettura, mi aveva suggerito quell'opera per conoscere il cimitero dei libri dimenticati. Quando riemersi dall'apnea fantastica in cui per qualche giorno mi aveva immersa quel libro, ricordo che ne fui entusiasta, sognavo di ritornare a Barcellona per cercare e trovare il cimitero, pur sapendo che in realtà non esisteva. Mi immaginavo percorrere La Rambla in direzione del mare e poi svoltare sulla destra, li dove si scorge un vicolo stretto e buio, carrer de l'Arc del teatre, alla ricerca di quel portone annerito dietro il quale si nasconde il paradiso della non ignoranza. Poco dopo scelsi di leggere “Il gioco dell'angelo” e il risultato fu che non superai le prime 100 pagine.
Qualche mese fa, mentre rovistavo in libreria alla ricerca di un'illuminazione, l'ho rivisto ed inserito tra i libri che stavo acquistando e finalmente l'ho letto. A causa degli impegni che spesso tolgono spazio alla lettura, ho impiegato qualche settimana a terminarlo e forse proprio il non averlo letto tutto d'un fiato ha contribuito a non farmelo capire fino in fondo. Terminata l'ultima pagina nel mio cervello si è materializzato un punto di domanda, continuo a chiedermi se il tutto è stato un sogno di Martín, il personaggio principale, o se Zafón avesse scritto questo libro in preda ad un delirio mentale.
Ad ogni modo è stata una lettura piacevole che sento di poter consigliare a chi vuole leggere qualcosa, senza aspettarsi l'opera del secolo. Tra le note positive ci sono sicuramente le descrizioni di Barcellona, chiunque sia stato in quella città incantata rivivrà, grazie alla scrittura di Zafón, scorci, odori, emozioni e sensazioni della città.
A chi poi ha già avuto a che fare con il cimitero dei libri dimenticati non potrà non far battere il cuore il richiamo, seppur simbolico, al signor Sempere, il libraio che conduce Martín in quel labirinto segreto di storie conservate e protette.
Altra stellina di questo scritto sono le conversazioni tra David Martín e Andreas Corelli, in particolare le conversazioni sulla religione che Zafón, dalla bocca dell'editore francese (con cognome italiano), descrive come “ [...] un codice morale che si esprime mediante leggende, miti o qualunque artefatto letterario al fine di istituire un sistema di credenze, valori e norme con i quali regolare una cultura o una società [...] come per la letteratura o qualunque atto comunicativo, a conferirle efficacia è la forma e non il contenuto [...]”. Una dottrina è un racconto, “[...] tutto quello che conosciamo, quello che ricordiamo e perfino quello che sogniamo. Tutto è racconto, narrazione, una sequenza di eventi e personaggi che comunicano un contenuto emotivo. Un atto di fede è un atto di accettazione, accettazione di una storia che viene raccontata. Accettiamo come vero solo quello che può essere narrato... non la tenta creare una storia per la quale gli uomini siano capaci di vivere e morire e farsi uccidere, di sacrificarsi e di condannarsi, di offrire la propria anima? [...]”. E ancora “ La fede è una risposta istintiva ad aspetti dell'esistenza che non possiamo spiegare in altro modo: il vuoto morale che percepiamo dall'universo, la certezza della morte, il mistero dell'origine delle cose o il senso della nostra vita, o la sua assenza.”
La religione è sicuramente uno dei temi fondamentali di questo romanzo, insieme alla contrapposizione tra il bene e il male, l'inquietudine, l'ambizione che porta a scendere a patti con il diavolo.
Ci sono tanti spunti di riflessione interessanti all'interno di oltre 450 pagine che si lasciano leggere per lo più in maniera scorrevole, a volte inceppando nella troppa fantasia dell'autore, che ti lasciano nel cuore personaggi ma soprattutto “fantocci” che difficilmente si faranno dimenticare.

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